ovvero,
Recentemente mi è capitato di
ascoltare alla radio una recensione de Il
Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, che mi ha fatto tornare in mente il
celebre paradosso di Tancredi: Se
vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.
Improvvisamente mi è venuto da collegare questa frase non tanto alla situazione politica attuale (il ché non sarebbe poi fuori luogo...), quanto al mio lavoro di piccolo editore digitale.
L’arrivo dell’ebook sta
suscitando un forte dibattito circa il ruolo
dell’editore, chiamato a un cambiamento per adattarsi ai tempi (vedi ad
esempio qui). Sono in molti, infatti, a pensare che il fenomeno del self-publishing infliggerà un colpo
mortale alla figura dell’editore inteso come “intermediario” del canale
culturale del libro. È un’affermazione errata e grossolana, ovviamente, perché
l’autopubblicazione è un fenomeno importante, ma pur sempre legato a dei singoli (self = il sé) e non può puntare a uno scopo culturale, che è
invece l’obiettivo dell’editore. L’editore non si prefigge solo di piazzare
prodotti commerciali, ma di cercare e selezionare opere, organizzarle in un
quadro più ampio, per offrire al lettore non singole opere a sé stanti, ma uno spazio culturale. Il self-publishing è
dunque in sé un movimento importante, ma il buon senso ci dice che sarà solo
una parte del futuro editoriale.
Cos’è dunque che mette veramente in crisi il lavoro del piccolo editore? Nell’era della carta erano i costi, i margini ridotti e le difficoltà nella distribuzione. E allora l’ebook è la salvezza del piccolo editore? Parrebbe di sì: abbattimento dei costi, distribuzione internazionale in pochi clic, presenza sulla rete. E invece, purtroppo no! E proprio Tomasi di Lampedusa me lo ha ricordato...
Cosa è cambiato in fondo per l’editore (o il self-publisher) digitale? Nulla, se non che il processo prima materiale è diventato immateriale, la stessa distanza rimane tra autore/editore e lettore:
Sì, perché nonostante le
meraviglie sociali della rete, l’editore
anche oggi non può sapere chi acquista i suoi ebook, gli store tengono per
sé il contatto con i lettori. Il più efficiente degli store ci offrirà al
massimo visibilità, ma non il contatto diretto tra l’autore/editore e i suoi
lettori.
Non sto a entrare nel merito
della cosa, che tocca questioni commerciali, di privacy, ecc. Non si tratta
infatti di una riflessione polemica, tutt’altro. Ritengo però importante
prendere coscienza che il passaggio all’era del Web 2.0 (l’essenza dell’ebook)
non significa di per sé rivoluzione, anzi! Tutto
è stato cambiato, ma tutto è rimasto come prima. Purtroppo, oggi come ieri,
la vita del libro è decisa da chi lo vende, non da chi lo cura. Non è colpa di
nessuno, è il sistema, ma almeno facciamo cadere le illusioni e rimbocchiamoci
le maniche.
La vera rivoluzione dell’ebook è la possibilità di rompere la catena e avvicinare i lettori, perché è questo il vero valore sociale del Web. Creare spazi di incontro diretti, questa è la vera rivoluzione, non solo vendere il proprio libro sul più scintillante degli store.
Buon lavoro a tutti!