Risale ad agosto la notizia che un'equipe di scienziati della Harvard University, guidata da George Church, ha trascritto con successo un testo di 53.426 parole su filamenti di Dna. “Volevamo qualcosa che rappresentasse i tempi moderni, quindi abbiamo usato una versione HTML del libro” spiega Church. Il libro in questione è una ricerca di cui egli stesso è co-autore, intitolata Regenesis, della quale sono state codificate e archiviate ben 70 miliardi di copie. Per comprendere appieno la portata rivoluzionaria di questo esperimento, basti pensare che la totalità delle informazioni presenti al mondo (che ammonta a 1.8 zettabyte) potrebbe essere immagazzinata in appena quattro grammi di Dna.
Ultimamente si parla molto di cloud computing, ovvero della possibilità per gli utenti di archiviare i propri dati in rete, piuttosto che su un supporto fisico. Per quanto tali servizi offrano maggiori garanzie (è difficile, ad esempio, che Google e il suo Google Drive, scompaiano nell'immediato futuro, ma purtroppo non possono dire lo stesso gli sfortunati utenti di Megaupload, i cui file sono diventati inaccessibili da un giorno all'altro), generano tuttora una buona dose di perplessità; persino Steve Wozniak, co-fondatore di Apple, ha fatto di recente alcune controverse dichiarazioni al riguardo: “Io dico che più cose trasferiamo sul web, sulla cloud, e meno controllo avremo su di esse”.
Volendo analizzare il problema da un punto di vista tecnico, invece, le difficoltà connesse alla preservazione del patrimonio culturale digitale sono essenzialmente tre:
Svariate sono le strategie studiate negli ultimi anni per far fronte a questi problemi, ma ciascuna presenta dei limiti evidenti. Sebbene non esista una tecnica in grado di garantire risultati ottimali, è possibile sviluppare delle soluzioni complementari che ne migliorino l'efficacia e agiscano in via preventiva sulla produzione di documenti elettronici. Esistono infatti delle linee guida per agevolare la preservazione degli oggetti digitali; si dovrebbe innanzitutto prestare attenzione a favorirne l'interoperabilità attraverso l'utilizzo di formati standard aperti che, seppure soggetti a cambiamenti, assicurano un grado maggiore di portabilità. Inoltre, sarebbe buona norma impiegare metadati, perché garantiscano una corretta trasmissione nel tempo di tutte le informazioni relative al documento in questione, attraverso tutti i successivi passaggi tra piattaforme hardware e software via via più evolute. Infine, bisognerebbe prendere le dovute precauzioni (copia di file su supporti più nuovi e ricodifica di questi per renderli compatibili con il nuovo hardware e software) affinché si disponga sempre di un apparato tecnologico aggiornato e quindi meno vulnerabile a deterioramento e obsolescenza.
Benché presentino non pochi problemi, anche lo storage e la distribuzione in rete di oggetti digitali possono essere valide alternative all'immagazzinamento su supporti portatili. Le biblioteche digitali e gli archivi aperti, a differenza delle librerie online, sono piattaforme preposte esclusivamente alla preservazione di documenti elettronici e dimostrano che anche l'archiviazione sul web, se operata con criterio e sistematicità, può dare risultati soddisfacenti.
Insomma, finché la codifica su Dna non sarà alla portata di tutti, dovremo accontentarci di procedure più 'primitive' per conservare i nostri ebook!